L’hospitalist in un nuovo modello di sanità ospedaliera

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La figura dell’hospitalist in Italia guarda a un nuovo modello di sanità ospedaliera che supera la semplice consulenza specialistica divenendo parte attiva e integrante dell’équipe chirurgica. Alla sua introduzione nel nostro Paese, è dedicato il workshop di apertura della seconda giornata del 126esimo Congresso Nazionale della Società Italiana di Medicina interna (SIMI). Fra i relatori che partecipano al dibattito, vi è la dottoressa Ombretta Para, Dirigente Medico Medicina Interna presso la AOU Careggi di Firenze, dove svolge il ruolo di Hospitalist in Chirurgia d’Urgenza e Neurochirurgia, dove la figura è stata introdotta per la prima volta nel 2010.

Pionieri in Italia. Il modello adottato nell’azienda ospedaliera di Firenze è pionieristico per il nostro Paese e si ispira ai modelli europei e statunitensi, pur presentando differenze organizzative specifiche. Nell’azienda, l’implicazione fondamentale del co-management vede il superamento del modello consulenziale: l’hospitalist è in grado di gestire il paziente complesso in un contesto chirurgico, grazie a competenze trasversali e soft skills specifiche. In questo modo, l’hospitalist è una parte attiva di tutto il percorso clinico del paziente, perfettamente integrato nell’équipe chirurgica attraverso la partecipazione alla visita congiunta con i chirurghi e a briefing, come ad esempio con i neurochirurghi. Questa integrazione è considerata la vera novità e il valore aggiunto.

PDTA e Piano condiviso. La scelta di dotarsi di un PDTA strutturato in chirurgia d’urgenza (risalente al 2018) e di un Piano condiviso tra specialisti per la gestione del paziente complesso sono stati passaggi decisivi secondo la dottoressa Para. Questo modello permette che ogni figura possa ricoprire un ruolo attivo attraverso la valorizzazione delle specifiche competenze. L’hospitalist in virtù del Piano condiviso, ha accesso alla cartella clinica e può definire percorsi diagnostici e cambiamenti terapeutici da condividere con gli altri.

Presso l’Azienda Ospedaliera universitaria, “Abbiamo avuto la possibilità di integrare l’internista nell’equipe chirurgica. Ciò dà la possibilità, ad esempio, di visitare insieme ai chirurghi e di partecipare al briefing con i neurochirurghi, superando il modello consulenziale”, afferma la specialista che svolge un ruolo nella segreteria nazionale FADOI, dell’EFIM multimorbidity working group, oltre ad essere stata in passato referente nazionale dei GIOVANI FADOI.

L’attività dell’hospitalist consiste nel farsi carico del malato complesso e coordinare tutto il processo di cura: “Nel setting chirurgico – continua la dottoressa –, questo vuol dire, nella fase preoperatoria, prevenire le possibili complicanze, ottimizzare la terapia delle patologie croniche e nel post operatorio intercettare precocemente le complicanze”.

L’approccio ha portato a risultati positivi, come la riduzione dei ricoveri e della mortalità per problematiche internistiche. Gli studi pubblicati sul modello adottato al Careggi di Firenze mostrano risultati favorevoli in termini di riduzione del numero di consulenze internistiche, nuovi ricoveri e mortalità per problematiche sempre internistiche.

In particolare, un lavoro pubblicato ad aprile scorso sulla rivista Internal and Emergency Medicine, di cui la dottoressa Para è la prima autrice, ha dimostrato gli effetti dell’implementazione del programma di co-gestione ospedaliera nel reparto di neurochirurgia (ND) dell’ospedale fiorentino. La co-gestione da parte degli hospitalist è stata associata a una ridotta incidenza di complicazioni mediche, ricoveri ospedalieri a 30 giorni e numero di trasferimenti in terapia intensiva o con un alto tasso di soddisfazione tra gli operatori sanitari.

L’avvio in Lombardia. Anche all’IRCCS Fondazione Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico Università degli Studi di Milano, in due reparti, è partita la sperimentazione dell’hospitalist. Introdotta a settembre per la neurochirurgia e precedentemente a maggio per la traumatologia, l’iniziativa vede inizialmente l’hospitalist operare come consulente fisso, presente la mattina dal lunedì al venerdì. L’obiettivo futuro sarà una gestione completa e h24 dei pazienti da parte dell’internista, liberando i chirurghi dalle incombenze di reparto e concentrandoli sulle procedure chirurgiche.

“In traumatologia, per ora un nostro medico svolge il ruolo di consulente fisso per i casi segnalati che riguardano in prevalenza fratture di femore, infezioni o protesi. In futuro, invece è previsto che l’internista prenda in carico i pazienti h24 e si confronti sulla gestione con gli altri medici specialisti”, spiega Giorgio Costantino, Professore Associato di Medicina Interna, Direttore S.C Pronto Soccorso e Medicina D’Urgenza presso l’IRCCS Fondazione Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico Università degli Studi di Milano.

Fra gli esiti attesi c’è una riduzione delle complicanze e dei tempi di gestione insieme a una maggiore soddisfazione dei pazienti e degli operatori. L’introduzione sarà ultimata quando i medici internisti potranno gestire h24 i pazienti in traumatologia, dall’accettazione del pronto soccorso fino al proseguimento del processo con l’indicazione, ad esempio, di un percorso di riabilitazione.

“Gli ortopedici e i neurochirurghi – continua il professor Costantino –, pur essendo altamente specializzati, spesso si trovano a dover gestire pazienti anziani e polipatologici. Per questi pazienti, fragili e con un equilibrio clinico precario, una gestione unicamente chirurgica non è sufficiente. Questo approccio invece permetterebbe agli ortopedici e ai neurochirurghi di concentrarsi sugli interventi che sono il cuore della loro professione, delegando la complessa gestione medica del paziente all’internista. Allo stesso tempo, l’internista avrebbe l’opportunità di curare una tipologia di pazienti diversa dal solito, trovando soddisfazione nella risoluzione di problematiche mediche che, pur non essendo la causa primaria del ricovero, sono fondamentali per il successo dell’operazione. Penso che l’approccio possa portare a una vittoria per tutti”.

“Abbiamo iniziato il progetto di co-management nei due reparti da pochi mesi, ma ce ne vorranno ancora almeno sei prima di poter valutare gli effetti di questa sperimentazione su costi e tempi di degenza”, osserva il Direttore Generale del Policlinico di Milano, Matteo Stocco. “La letteratura ci dice che la figura dell’hospitalist nei reparti chirurgici e medici ad alta specializzazione si associa ad una riduzione delle complicanze post-operatorie, dei costi e talvolta della degenza media, anche se la maggior parte degli studi arriva dagli Stati Uniti, dove il sistema sanitario ha regole ed organizzazione diverse. Un dato interessante, presente in quasi tutti gli studi, è comunque la soddisfazione del personale sanitario coinvolto, sia medico sia infermieristico. Un risultato che già di per sé rappresenta un punto a favore dell’innovazione gestionale”. In conclusione, riguardo all’esigenza di introdurre l’innovazione, il Direttore aggiunge: “L’iperspecializzazione associata ad un aumento della complessità clinica ed assistenziale dei pazienti ospedalizzati, sempre più anziani e fragili, necessita di una presa in carico sempre più multidisciplinare con l’internista che si occupa della salute generale del paziente e lo specialista che si occupa della problematica acuta”.

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