La mia amica piange. Sul catafalco giace suo padre morto. Fino a tre mesi fa stava benissimo. Aveva partecipato ad un evento ed era apparso immensamente felice.
Mi racconta tra le lacrime che lei aveva pensato: “Cosa ci porterà tutta questa felicita?”
Pare che la felicità per i comuni mortali abbia un prezzo. E’ come se una bilancia equilibrasse il bene e il male, la felicità e la sofferenza.
Eppure c’è gente che pare abbia una vita in cui ci sia stato o ci sia spazio solo per la felicità. Ma chi può dirlo? La felicità può essere pesata ed equivale al successo nella vita, alla serenità in famiglia o nel gruppo di appartenenza?
Magari a vite felici si affiancano vite piene di dolore in relazione al karma, per cui, come si dice nella religiosità e nella filosofia indiana, la sofferenza è conseguenza di azioni compiute nelle esistenze precedenti.
Gli antichi greci, dicevano che esiste l’invidia degli dei (φθόνος τῶν θεῶν), le divinità non sopportano la felicità umana, se essa è uno stato di beatitudine simile a quello divino.
Nella cristianità, la gioia è nel divino. “Questa è la felicità: godere in te, di te, per te: questa e non altra”, scriveva Sant’Agostino, riferendosi a Dio.
Per il filosofo di Tagaste, una forma di male era legata alla finitudine umana, all’imperfezione. L’uomo è destinato a soffrire, ad ammalarsi e a morire, proprio perché la sua esistenza è finita. Da qui il dolore…
Eppure la gioia, talora, sembra solo il cireneo che aiuta Cristo a portare la croce.
Nella continua trasformazione della natura e dell’universo, il dolore e la gioia accompagnano la necessità oscura del divenire.
Gioia e dolore sono stati d’animo, ma anche forze, che al pari di altre forze, nel loro trasformarsi e divenire, ci spingono verso un ipotetico fine dell’universo, che è ignoto all’umana ragione.