Dai tempi di Khomeini divampa in Medio Oriente il conflitto fra sunniti e sciiti: tuttavia, in questo momento, a scendere al fianco dei Palestinesi di Gaza, tutti sunniti, sono gli iraniani sciiti e i propri alleati, mentre il mondo sunnita in pratica è rimasto in disparte.
Cerchiamo allora di comprendere chi sono gli sciiti.
La fazione sciita nasce nel contrasto alla successione del profeta Maometto: alla sua morte, nel 632, furono designati in successione tre califfi (successori), non parenti di Maometto, ma una parte dei fedeli riteneva che la successione spettasse però ai familiari di sangue di Maometto (Ahl al-Bayt, la gente della casa), rappresentati da Alī ibn Abi Tālib, cugino e genero del Profeta, avendone sposato la figlia Fatima, e dai loro discendenti. Nel 656, Alī fu effettivamente nominato come quarto califfo, ma fu assassinato poco dopo: il potere passò allora agli Omayyadi, governatori della Siria. Uno dei figli di Alī, al-Ḥusayn, cercò di rivendicare il potere, ma fu ucciso con 72 seguaci a Kerbela nel 680: a ricordo di questo episodio si celebra l’Ashura.
Seguirono altri discendenti pretendenti alla successione, in tutto dodici “imam” a partire da Alī, l’ultimo dei quali fu Muhammad ibn al-Hasan, detto al-Mahdī (l’inviato), che non sarebbe morto nell’874, ma solo occultato per tornare sulla terra a instaurare il regno di Dio alla fine dei tempi.
Però lo scisma non si riduce a una semplice lotta dinastica: gli sciiti elaborarono una loro interessante dottrina che per molti versi ricorda quella della “civitas dei” di S. Agostino. Essi sostengono che, dopo Maometto, non è possibile sulla terra una comunità veramente “giusta” secondo i dettami della legge di Dio. La morte di al-Husayn non è semplicemente un episodio di una banale lotta dinastica, ma assume un significato universale e metafisico: è la dimostrazione che il bene non può trionfare su questa terra e al-Ḥusayn, che preferisce morire con i suoi seguaci invece di arrendersi al male, è il martire per eccellenza, la testimonianza della malvagità degli uomini che non permette la società veramente giusta. Da qui la dottrina del “nascondimento”: solo alla fine dei tempi al-Ḥusayn tornerà sulla terra per fondare la società veramente giusta.
Abbiamo quindi un pessimismo simile a quello cristiano di S. Agostino: nel mondo vi è il male; esso resterà sempre indissolubilmente intrecciato con il bene fino alla fine dei tempi, quando il mondo sarà redento dal ritorno di al-Ḥusayn (in S. Agostino, dal ritorno di Cristo che separerà il bene dal male). In questa cornice dottrinale, l’Ashura non è la semplice rievocazione di un fatto storico avvenuto tanti secoli fa, ma è il lutto per il male che è nel mondo, ora come allora, ed in ciascuno di noi: la penitenza dolorosa con flagellazioni e ferite è l’espiazione del male, la penitenza. Analogamente, nel nostro Venerdì Santo, si ricorda non solo la passione di Cristo, ma il male che c’è nel mondo che richiama alla penitenza: nelle tradizioni medievali giunte in qualche luogo fino a noi (ad esempio, Guardia Sanframondi) vi sono flagellazioni simili a quelle degli sciiti: il battente espia il male che è anche in se stesso, nei propri peccati.
In questo complesso ideologico lo stato è necessario per reprimere il male che è nell’uomo (“remedium carnis”, diceva S. Agostino) ma non può instaurare una società veramente giusta. Da questo si ricava che il potere civile deve essere distinto da quello religioso; solo con il ritorno dell’“imam” al-Husayn i due poteri si congiungeranno in un’unica persona, inviata da Dio. Gli sciiti quindi, come S. Agostino e anche Lutero, inclinano per l’obbedienza allo stato anche se esso è, per sua natura, imperfetto.
Attualmente il male contro cui lottare viene identificato con l’Occidente, e il conflitto palestinese ne è solo un momento, ma che terminerà con la vittoria dei credenti quando a Dio piacerà (inshallah).
Khomeini affermò che, anche se lo stato non può essere perfetto, tuttavia è possibile che esso si avvicini al bene, e per questo sovrappone al potere politico, che assume una veste democratica moderna, un’autorità religiosa che dovrebbe giudicare se la sua azione sia o meno conforme alla legge di Dio.
Dal punto di vista degli organi politici, la costituzione iraniana richiama, pressappoco, quella americana: il presidente della repubblica è eletto a suffragio diretto, nomina i ministri e il suo potere è controbilanciato da un parlamento eletto pure esso a suffragio universale con sistema uninominale.
Ma a questo ordinamento viene sovrapposto un elemento che cambia profondamente tutto: il “Velayat-e faqih” (tutela del giurisperito), cioè un’autorità religiosa che controlla la conformità alle leggi islamiche dell’azione degli organi politici: questo è il principio originale che rende unico l’ordinamento iraniano nel mondo musulmano, anche in quello sciita.
Non bisogna pensare, come comunemente si crede, che il regime iraniano corrisponda a una tradizione islamica: è invece una costruzione originale di Khomeini.
Il Velayat-e faqih è costituito in realtà da una Guida Suprema (Rahbar), coadiuvata da dodici esperti. Potrebbe corrispondere alla nostra Corte Costituzionale, ma ha un potere molto più invasivo: controlla le elezioni in quanto giudica chi può partecipare e chi non può partecipare alle elezioni secondo la maggiore o minore affidabilità religiosa, entra soprattutto in tutte le decisioni politiche, stabilendo ciò che è islamico e ciò che non lo è: politica estera, alleanze, programma nucleare, politica interna e ogni cosa; in pratica è il vero potere politico.
Lo scisma è diffuso un po’ in tutto il Medio Oriente asiatico ma non altrove. In effetti l’Iran è divenuto tutto sciita in tempi relativamente recenti, nel 1600, ad opera della dinastia dei Safavidi.
Sono presenti in particolare in Iraq, dove costituiscono la maggioranza della popolazione, in Azerbaigian, dove sono la quasi totalità della popolazione, e in Pakistan, dove costituiscono un’importante minoranza.
Sono intervenuti nel conflitto di Gaza solo quelli in Libano, dove formano il movimento degli Hezbollah (partito di Dio) con leader Nasrallah.
L’altro gruppo che è intervenuto per Gaza è quello degli Houthi: in realtà il movimento è formato da un gruppo religioso, gli zayditi. Lo Zaydismo fa riferimento a Zayd ibn ʿAlī, uno dei figli del quarto imam che insorse contro il potere omayyade a Kūfa nel 740 d.C., dopo il massacro di Kerbela, ma fu sconfitto e ucciso. Tuttavia, i suoi seguaci si opposero strenuamente agli Omayyadi ed elaborarono un interessante programma di equità sociale e di difesa dei più deboli. Non hanno però assunto le credenze proprie degli sciiti del ritorno dell’imam né le loro pratiche religiose specifiche, e quindi non sono molto diversi dai sunniti, ma comunque la loro confessione religiosa determina un’identità della comunità che la fa distinguere orgogliosamente dai propri vicini sunniti. Da 30 anni sono in conflitto con i sunniti dell’Arabia, che, secondo le stime ONU, avrebbe causato ben 600 mila morti, 15 volte quelli di Gaza, ma nella totale indifferenza della pubblica opinione mondiale. In questo conflitto, in questo momento sospeso, sono sostenuti dall’Iran, anche se non sono sciiti, ma comunque nemici dei sunniti.
Senza entrare direttamente nel conflitto, pure importante strategicamente per i rifornimenti, è la Siria, governata dagli Alawiti di Bashar al-Assad.
La fede alawita ha un carattere che diremmo iniziatico, e quindi delle credenze e delle sue pratiche si sa poco, ma ha alcune dottrine lontane dall’Islam: credenza nella trasmigrazione dell’anima, la reincarnazione, la divinità di Alī ibn Abi Tālib – il quarto califfo e cugino del Profeta Muhammad – e una santa trinità che comprende Alī, Maometto e uno dei compagni del profeta, Salman al Farsi.
Nel mondo arabo, in genere, sono stati generalmente perseguitati fino ai tempi del mandato francese, che ha sostituito l’impero ottomano nel 1918. Allora, gli Alawiti, come altre minoranze (per esempio, i Maroniti del vicino Libano), hanno superato la marginalità tradizionale e iniziato anche una marcia verso l’egemonia e il potere, favoriti dal fatto che, per forza di cose, sono i sostenitori del laicismo che coincideva con il nazionalismo di tipo nasseriano.
Quindi nulla in comune fra alawiti e sciiti, ma, come per i zayditi, comunque essendo in contrasto con i sunniti in rivolta, sono stati sostenuti fortemente dagli iraniani.
In Medio Oriente, alleanze e conflitti sono sempre difficilmente comprensibili per noi occidentali.