Qualche anno fa, Matteo Renzi, al margine di alcune conferenze tenute in Arabia Saudita, indicò questo stato come uno in cui stava nascendo un movimento che avrebbe aperto il mondo arabo al progresso, alla modernità, al futuro insomma. Fu sommerso da un coro quasi unanime di critiche: ma come mai si può additare come tale uno stato tanto autoritario, che si era allora macchiato del delitto di Khashoggi, così arretrato che alle donne era perfino proibito di guidare le auto, e pensare che sia quello che aprirà la civiltà araba al futuro?
In effetti, l’Arabia Saudita è il paese in cui la sharia viene veramente e scrupolosamente applicata, l’unico oltre forse all’Afghanistan dei talebani. In fondo, in Iran, considerato la roccaforte delle tradizioni islamiche, con la sua forsennata e sanguinosa lotta per il velo delle donne, permette pure alle donne di essere maggioranza nelle scuole e nelle università, e tiene elezioni, sia pure limitate a quei candidati approvati dalla Guida Suprema.
Come parlare di apertura al futuro dell’Arabia?
In effetti, però, a ben guardare, approfondendo i temi di quel tessuto culturale che noi occidentali stentiamo a capire, forse Renzi aveva ragione.
Occorre fare qualche breve riferimento storico
L’Arabia Saudita è un regime che si definisce Wahabita: cerchiamo di capire chi sono costoro. Il movimento fa riferimento a Muhammed Ibn Abd al-Wahab (1703-92). Questi si formò alla Mecca e a Medina secondo una impostazione rigorosa del diritto islamico (Shari’ah) ricavata dal Corano e dagli Hadith. Egli si oppose a un islamismo popolare intriso di magia e tradizioni locali. Condannò rigidamente l’iconografia, l’intercessione di personaggi ritenuti santi, in particolare il culto delle tombe, e ogni innovazione di culto posteriore alla predicazione coranica. Il suo programma, quindi, era presentato come un ritorno integrale alle origini.
Il concetto fondamentale è la distinzione fra “Salaf” (cioè delle origini) e “Bida” (cioè innovazione) rispetto ai tempi di Maometto: la prima accettata in modo assoluto, la seconda respinta e qualificata come “shirk” (politeismo) o “kufr” (paganesimo). Possiamo dire che Il termine “salaf” ha un significato corrispondente a quello che nel mondo cristiano ha il termine “evangelico”.
In particolare, il movimento fu nemico accanito degli sciiti, considerati una blasfema degenerazione dell’Islam, rivalità che spiega anche oggi molta della storia recente del Medio Oriente.
Non può essere qualificato come un movimento “tradizionalista”, anzi il suo punto essenziale è la lotta alle tradizioni. Nemmeno può essere considerato nazionalista perché intende combattere tutti i nazionalismi: le regole dell’Islam non devono essere calate in questa o quella realtà nazionale, valgono per tutti e sempre, dagli aridi deserti dell’Arabia ai campus universitari europei. La visione è strettamente internazionalista. Allah non fa distinzioni fra le nazioni; la causa dell’Islam non è la causa di un popolo particolare ma è la causa dell’umanità intera. Nessuna differenza fra neri e bianchi, fra orientali e occidentali. L’unica differenza è fra “muslim” (credenti) e “kafir” (non credenti).
L’Arabia, alla metà del ‘700, era dominata da una serie di tribù in lotta fra loro. Al-Wahab allora strinse un’alleanza con l’emiro Muhammad ben Saud, della grande confederazione tribale degli ‘Anaza. Questa alleanza permise la conquista dei luoghi santi, La Mecca e Medina, dove, secondo i dettami del movimento, furono distrutti i monumenti di Khadija (sposa di Maometto), di Abu Bakr (primo califfo) e di Ali (quarto califfo), e furono portati via i ricchi tessuti che ornavano la tomba del Profeta. Il movimento fu poi combattuto dall’impero turco e da Muhammad Ali, kedive d’Egitto, che li sconfissero e repressero sanguinosamente, in quanto entrambi seguivano invece tradizioni di tolleranza (anche verso i cristiani). Il wahabismo, però, non sparì e si mantenne presso le tribù beduine del deserto.
Duecento anni dopo, nel corso della Prima Guerra Mondiale, a sostenere la rivolta capeggiata dal famoso Lawrence d’Arabia furono proprio le tribù beduine, e quindi a prendere il trono con l’appoggio determinante degli inglesi fu la attuale dinastia dei Sauditi (da Muhammad ben Saud, il primo emiro sostenitore di Al-Wahab). Questo spiega quindi la rigorosa e intransigente osservanza della Sharia nel paese e la rivalità implacabile con l’altro estremismo religioso, quello sciita dell’Iran.
Tuttavia, la scoperta del petrolio ha dato ai paesi della penisola arabica una ricchezza e un potere inaspettati. Tutto ciò che è grande e spettacolare del mondo arabo si trova nei paesi del petrolio. Questo ha comportato però anche la possibilità per i ceti dirigenti di avere contatti con l’Occidente, di andare in vacanza in Occidente, di studiare anche presso le università americane. Inoltre, le vicende della politica hanno portato a una alleanza irrinunciabile con gli USA.
A questo punto, la società wahabita tende a spaccarsi. Una parte è ben rappresentata da Osama bin Laden, figlio di una ricchissima famiglia, conosceva bene l’Occidente e ne rimase disgustato, vedendolo come il luogo del male, della corruzione e della miscredenza. Bin laden sostenne quindi la guerriglia dei mujahideen afgani, accettando ma solo strumentalmente gli aiuti finanziari americani, per diventarne poi il principale nemico dopo l’attacco dell’11 settembre. Un’altra parte della società, sempre crescente, invece, pur mantenendo la propria fede e le proprie tradizioni, non vede nell’Occidente solo il male ma un mondo che ha altri principi e risorse e che può offrire molte soluzioni, particolarmente nel campo tecnico-scientifico.
Il Medio Oriente è attraversato dall’idea che tutto il male, l’arretratezza e la povertà che lo affliggono siano solo colpa degli occidentali, della loro avidità e quindi l’unica soluzione è la lotta contro di essi, gli infedeli. La questione palestinese non è solo una disputa territoriale per un territorio in fondo piccolo e secondario, ma è una lotta metafisica del bene contro il male che, malgrado le infinite sconfitte, non potrà non finire che con il trionfo dei credenti quando a Dio piacerà (Insh’allah).
Sembra ora che in Arabia si stia facendo strada l’idea che non è necessario né utile una guerra messianica contro l’Occidente, ma imitare l’Occidente senza però venir meno ai propri principi religiosi. Così se nel ’73 l’Arabia Saudita proclamò il blocco del petrolio all’Occidente, reo di aver aiutato Israele nella guerra del Kippur, in tempi più recenti si stavano facendo strada gli accordi di Abramo: l’idea cioè che Israele non era un piccolo satana al servizio del grande satana, ma solo un piccolo stato che poteva essere riconosciuto.
Se mai questa tendenza riuscirà a prevalere in Medio Oriente, questo si aprirà al futuro e al progresso come ha fatto l’Estremo Oriente, mantenendo inalterate le proprie culture tradizionali.
In fondo anche la Chiesa cattolica del concilio vaticano I condannò nel Sillabo la democrazia e la libertà ma in seguito è divenuta essa stessa paladina sicura e convinta della democrazia.
Non dobbiamo però indentificare il progresso, il futuro, solo con i nostri parametri europei e volerli imporre a tutti gli altri popoli.
Ogni popolo puo’ progredire, abbracciare la modernità, seguendo una via consona alla propria cultura e alle proprie tradizioni e questo può avvenire anche nel mondo arabo come è avvenuto nel mondo dell’estremo oriente, come avvenne per Roma quando incontro la civiltà ellenica.
Ogni cosa con il tempo può cambiare e anche le culture evolvono a volte in modo imprevedibile: i pacifici scandinavi sono i discendenti dei terribili pirati Vichinghi.