Molta risonanza sui mass media e quindi sull’opinione pubblica mondiale hanno avuto due interventi sui fatti di Gaza di due organismi distinti: la Corte Internazionale di Giustizia e la Corte Internazionale Penale. La prima è un organismo dell’ONU e quindi dovrebbe valere per tutti i paesi aderenti all’ONU, praticamente tutto il mondo. Essa si pronuncia su azioni degli stati ma, tuttavia, a differenza di qualunque altro tribunale, non ha nessun mezzo reale per far rispettare i propri verdetti. Le sue sentenze hanno quindi solo valore morale: in pratica, accettata ed esaltata da quelli che la condividono e criticata aspramente da quelli contrari.
Nel caso specifico va chiarito che non ha intimato a Israele, come comunemente si dice, di fermare le operazioni a Gaza perché si tratterebbe di un genocidio, ma di non compiere azioni che possano portare a un genocidio, che è cosa molto diversa. Tuttavia, in generale è stata ritenuta una condanna dell’azione di Israele mentre lo sarebbe solo se sfociasse in un genocidio. Comunque, poi, non vengono contemplati mezzi coercitivi e ogni stato, amico o nemico, continuerà a comportarsi come se l’intimazione non ci fosse stata.
La Corte Penale Internazionale, invece, giudica persone singole, non stati. È un organismo più recente, sempre collegato all’ONU, ma riconosciuto solo da una parte degli stati e non dai più importanti, fra cui Russia, Cina, India, USA e, nel caso, Israele. Tuttavia, al contrario dell’altra corte, le sue sentenze possono avere conseguenze reali nel caso in cui uno stato aderente esegua effettivamente le sue decisioni, arrestando gli accusati. Nel nostro caso, il procuratore generale (corrispondente al nostro PM) ha chiesto l’incriminazione dei capi di HAMAS e di Netanyahu, che sono quindi messi sullo stesso piano. Da precisare che non c’è nessun mandato di cattura ma solo la richiesta che dovrà essere vagliata dalla Corte ed eventualmente accettata. La stessa Corte, invece, ha spiccato un mandato di cattura nei confronti di Putin che potrebbe quindi essere arrestato in un paese che aderisca al tribunale penale.
Lasciamo da parte la terzietà di tali organismi composti da personalità scelte ovviamente con criterio di appartenenza geografica e/o ideologica. Si potrebbe notare che il procuratore della corte penale è di nazionalità britannica ma di origine pakistana, aderente a un gruppo islamico.
Le corti, ovviamente, si pongono sul terreno del diritto e si cercano diligentemente e attentamente le prove dei fatti che vengono contestati. In realtà ci pare che non si tratti di particolari che poco interessano la comprensione dei fatti. Qui e là alcuni fatti possono essere stati esagerati o sminuiti, magari inventati di sana pianta o nascosti del tutto, ma nella sostanza i fatti sono ben chiari sia quelli del 7 ottobre sia quelli successivi dell’invasione israeliana di Gaza.
Allora il nostro problema è cercare di capire non i dettagli dei singoli fatti, ma il fondamento stesso del discorso: le convenzioni di guerra, il diritto umanitario in generale hanno una consistenza, soprattutto è realmente possibile che vengano rispettati? L’esperienza nell’ultimo secolo ci mostra che tutti i belligeranti, più o meno, hanno violato queste norme quasi senza eccezione: dobbiamo allora chiederci se si tratta solo di cattive volontà, di malvagità o di esigenze belliche ineludibili.
Punto di partenza di ogni esame è il fatto che le guerre non sono belle gare sportive nelle quali si vince solo seguendo le regole, altrimenti si è squalificati, espulsi, perdenti. Vince invece la guerra chi usa i mezzi necessari per vincerle, qualunque essi siano. È vero comunque che nel secolo scorso, anzi, io direi sempre nella storia, si è cercato di trovare delle regole che limitino in qualche modo i danni e, in particolare, dal secolo scorso si è cercato di fare in modo che i civili non fossero troppo coinvolti. Tali convenzioni però si riferiscono a guerre svolte in campo aperto fra eserciti ed infatti sono state rispettate nelle guerre “regolari” arabo-israeliane del ’56, del ’67 e del ’73. Ma tali norme non sono state mai, in nessun caso, rispettate nelle guerre cosiddette asimmetriche nelle quali combatte un esercito regolare contro gruppi armati che non sono in grado di affrontarlo in campo aperto. Non è una questione di volontà ma di necessità bellica: nel caso, Hamas non può rispettarle perché non è in grado di combattere in campo aperto, Israele per lo stesso motivo all’inverso, così come è sempre avvenuto negli infiniti altri casi.
Si tenga poi presente che, in effetti, le leggi di guerra valgono solo in reciprocità: tu non uccidi i miei civili e io non uccido i tuoi. Sono state infatti osservate nel passato nelle guerre fra europei che accettavano quelle regole ma non in quelle coloniali in cui l’altra parte non le accettava. Hamas il 7 ottobre non ha rispettato affatto, non dico solo le leggi di guerra ma nemmeno un minimo di umanità: perché dovrebbe ora rispettarle Israele?
Alcuni osservano allora che Hamas è un gruppo di terroristi mentre Israele è uno stato, anche democratico. È questo anche il motivo per cui la Corte Internazionale di Giustizia non incrimina Hamas, che non sarebbe uno stato, mentre la Corte Penale incrimina sia i dirigenti di Hamas che quelli israeliani perché si tratta di persone singole.
Tuttavia l’argomentazione regge poco. Innanzitutto, la riduzione di Hamas a dei terroristi, a semplici delinquenti, non è accettata da tutto quel mondo che li supporta e in generale per tutti quelli che per “Palestine Free” intendono la distruzione dello stato di Israele con inevitabile seconda shoah.
Ma i miliziani di Hamas non possono in nessun modo essere considerati dei delinquenti comuni che si nascondono fra la gente. Sono del popolo di Gaza, che amministrano da 15 anni incontrastati: è vero che non c’è democrazia, ma in nessun paese arabo c’è democrazia. Soprattutto c’è tutto un immenso mondo mediorientale che li sostiene e li celebra come eroi, perfino Erdogan. Stanno al loro fianco Hezbollah, siriani, Houthi, iraniani e anche quelli contrari (Emirati) non osano schierarsi contro.Sarebbe come dire che gli Alleati dovevano cercare i nazisti casa per casa e non spianare la Germania.
A Gaza c’è una guerra, non una ricerca di latitanti. Una questione simile è stata sollevata per tanti terrorismi, a cominciare da quelli dell’11 settembre, ma non si possono confondere movimenti politici con delinquenza comune come quella della mafia.
Si dice pure che gli Israeliani danno una risposta sproporzionata ai fatti del 7 ottobre: 32.000 vittime palestinesi rispetto a 1.400 israeliani, diciamo quasi 30 a 1. Ma allora gli israeliani, in risposta al 7 ottobre, avrebbero dovuto prendere a caso 1200 palestinesi, assassinarli, decapitare i bambini, violentare orribilmente le donne prima di ucciderle, prendere alcune centinaia di ostaggi? Sarebbe stata un’assurdità.
L’azione israeliana non vuole essere una vendetta ma un mezzo di dissuasione perché non si ripeta: mostrare che il tentativo di distruggere Israele porta solo disastri per quelli che lo tentano. Non è che gli israeliani uccidano tutti i palestinesi che incontrano, in questo modo potrebbero uccidere tutti quelli di Gaza: allora sarebbe genocidio. Il problema è che se Hamas si nasconde fra la folla, negli ospedali, nelle scuole, allora i soldati israeliani dovrebbero semplicemente farsi colpire perché non potrebbero colpire i miliziani senza colpire i civili, donne e bambini fra i quali si nascondono: insomma dovrebbero solo ritirarsi, cosa certamente assurda mai verificata in nessuna guerra asimmetrica.
È anche vero che in realtà gli Israeliani colpiscono anche al di fuori della stretta necessità bellica, ma questo è avvenuto in tutte le guerre anche in quelle diciamo così tradizionali. Ad esempio, gli Alleati lanciarono bombe incendiarie su Dresda, rasero al suolo la maggior parte della Germania e, contro il Giappone, usarono addirittura la bomba atomica con fine non dichiarato ma evidente di fiaccare lo spirito di resistenza di quelle nazioni. La guerra finì quando Giappone e Germania si arresero: se Hamas annunciasse di ritirarsi da Gaza (nemmeno di arrendersi), la guerra sarebbe finita; per una lunga tregua che risolleverebbe Gaza basterebbe anche solo restituire gli ostaggi: la responsabilità non è tutta degli israeliani.
Tutto questo non significa che si approvi l’azione di Israele, ma le critiche vere e fondate mi sembrano altre. Il fine dichiarato da Netanyahu sarebbe quello di distruggere Hamas: ma è questo possibile? Anche se, come annunciato, ma poco credibile veramente, Hamas ha perduto la maggior parte dei suoi militanti e del materiale bellico accumulato, non per questo è stata debellata, sconfitta: Hamas non è un gruppo di esaltati, di delinquenti terroristi, ma è un’idea diffusa in tutto il Medio Oriente secondo la quale la guerra a Israele è solo l’inizio della guerra metafisica fra i credenti e i miscredenti, fra il bene e il male, che finirà quando Allah deciderà di dare l’immancabile vittoria ai credenti. Allora la Palestina sarà tutta libera (distruzione di Israele) dal Giordano al mare e l’Islam ritornerà all’età d’oro dei primi califfi.
Tuttavia, nel mondo palestinese ed arabo in generale, esiste anche una parte, per ora minoritaria, che rigetta questo scontro metafisico e si rende conto che per la rinascita del mondo arabo occorre ispirarsi a modelli occidentali come è avvenuto in Estremo Oriente e non ai tempi mitici dei primi califfi. Occorrerebbe allora offrire agli arabi di Gaza un’alternativa ad Hamas che non può essere che uno stato palestinese.
Ma nulla si muove in questo senso, gli arabi non vedono alcuna alternativa e il conflitto continuerà allora nelle prossime generazioni. In realtà, Netanyahu non ha un vero piano di azione capace di far terminare l’eterno conflitto: questa è la vera colpa di Israele.