di Giovanni De Sio Cesari
Sembra che l’attacco di terra a  Gaza sia cominciato: per il momento abbiamo, pare, solo delle incursioni  ma può darsi che  l’invasione potrebbe anche limitarsi a questo : non sappiamo

Ma ci poniamo allora   la domanda: quale potrebbe  esser l’esito di questi attacchi o dell’ invasione ?

Si susseguono le dichiarazioni israeliane che la battaglia di Gaza finirà solo con l’eliminazione definitiva di HAMAS da Gaza: ma è realistico, direi pure, ha senso parlare dell’eliminazione di HAMAS ? In realtà possono essere uccisi alcuni dei suoi militanti, distrutte alcune basi, ma HAMAS incarna un’idea che non può essere soppressa con una battaglia. Anche se fosse completamente distrutta e eliminati tutti i suoi membri, cosa solo teorica e non certo realizzabile,  nascerebbe un altro movimento che ne raccoglierebbe l’eredità in modo ancora più radicale.

Il mondo assiste a un conflitto che sembra infinito, fatto di battaglie inutili e inconcludenti. Le guerre vengono decise in battaglie più o meno grandi: ci sono vincitori e vinti. A volte i conflitti sono totali; più spesso, invece, il conflitto è limitato a particolari questioni: chi perde lascia al vincitore l’oggetto del contendere. Ma il conflitto che oppone Arabi ed Israeliani sembra avere caratteristiche del tutto peculiari: le parti si affrontano in guerre e guerriglie che si susseguono incessantemente; il conflitto a tratti sembra sopito per poi riaccendersi nuovamente. Soprattutto, però, pare che non importa chi vinca e chi perda: si aspetta semplicemente la prossima battaglia. Il conflitto continua implacabile, passa da una generazione all’altra; siamo ormai alla terza generazione, i soldati di oggi combattono la stessa guerra dei loro nonni.

Le catastrofi (nakba, come dicono gli arabi) si susseguono alle catastrofi: il popolo arabo palestinese vive spesso ai limiti della sopravvivenza, nell’inferno di Gaza o nei campi miserabili nel Libano, gli Israeliani, d’altra parte, non riescono a trovare una situazione di pace, di sicurezza, di normalità.

Tutto il mondo, preoccupato per le conseguenze del conflitto, propone incessantemente piani di pace che regolarmente restano nel lungo libro delle buone intenzioni.

Il paradosso, quindi, è che esiste una guerra che continua sempre, comunque finiscano le battaglie, per un motivo che in realtà non esiste perché la soluzione è obbligata ed inevitabile: la divisione del territorio in due stati indipendenti.

Un insieme di fattori rende impossibile la soluzione militare del conflitto. Innanzi tutto, non si tratta di due contendenti che lottano da soli, ma il mondo intero, in qualche modo, partecipa e rende impossibile a ciascuna delle parti una vittoria definitiva.

Nello sconfinato mondo arabo e mussulmano, i Palestinesi trovano sempre dei sostenitori per tanti motivi, anche vari e contrastanti: un fiume di denaro si riversa sui Palestinesi e con esso un flusso ininterrotto di armi e soprattutto un imponente flusso di benedizioni religiose, di conforti fraterni e appoggi ideologici.

Nel passato, il blocco sovietico fece propria la causa palestinese, ma il crollo del comunismo ha privato i Palestinesi di quell’aiuto. Le correnti di estrema sinistra, i gruppuscoli residuali ma sempre vivi e attivi del vecchio comunismo vero e puro, hanno ereditato l’appoggio incondizionato ai Palestinesi: essi non hanno alcuna possibilità concreta di intervenire e pur tuttavia lasciano sperare ai Palestinesi che i popoli dell’Occidente siano con loro e quindi anche i governi, prima o dopo, abbandonino gli Israeliani. Gli Americani, che hanno effettivamente la volontà e i mezzi economici e militari per intervenire, sono schierati chiaramente a favore di Israele; pur tuttavia hanno interessi in tutto il Medio Oriente, molti alleati fra gli stati arabi, e soprattutto temono uno scoppio della situazione dalle conseguenze imprevedibili.

Da un lato, quindi, gli Americani aiutano effettivamente e sostanzialmente gli Israeliani, ma d’altra parte sono intervenuti nelle guerre arabo-israeliane del ’56, ’68 e ’73 e negli innumerevole scontri successivi per fermare l’avanzata israeliana oltre certi limiti e premono continuamente su Israele perché la repressione contro i Palestinesi non superi certi limiti.

Dal punto di vista puramente militare, attualmente, Israele potrebbe distruggere la resistenza palestinese facilmente: potrebbe rispondere alla terribile strage del 7 ottobre con attacchi aerei devastanti non con migliaia ma con centinaia di migliaia di vittime come nella Seconda Guerra Mondiale  (Dresda , o Tokio del 44 ) , potrebbe materialmente cacciare tutti i Palestinesi da Gaza. Ma questo non sarebbe permesso dagli Americani, oltre che dalla comunità internazionale.

In pratica, gli Americani mettono Israele in grado di resistere agli avversari ma impediscono loro di vincere. D’altra parte, anche se gli Arabi un giorno vincessero effettivamente sul piano militare, tuttavia la sopravvivenza di Israele sarebbe garantita dagli Occidentali.

In pratica, chiunque vinca le battaglie non è importante: perché nessuno può vincere la guerra.

Alla fine di ogni battaglia tutti gridano di aver vinto: in realtà è vero perché nessuno ha perso veramente.

D’altra parte, è chiaro che l’attacco del 7 ottobre, gli attentati, il lancio di missili Kassam non possono sconfiggere gli Israeliani. Certo, gli ebrei non andranno via dalla Palestina perché qualche  migliaio di essi hanno trovato una fine orrenda.

Dall’altra parte la pratica del terrorismo può essere utile per indurre uno stato a ritirarsi da territori che non rappresentano un interesse vitale, come ad esempio è avvenuto in Vietnam e in Afghanistan, ma certamente non costringerà mai gli Ebrei a evacuare la Palestina.

Si tratta quindi di una tattica che mantiene vivo il conflitto ma che non porta certamente alla vittoria.

 

 

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