L’infertilità maschile rappresenta la metà dei casi di infertilità ai quali si fa fronte al giorno d’oggi nelle cliniche di riproduzione assistita. Questo fatto, unito all’apparente diminuzione della qualità del liquido seminale negli ultimi anni, pone questo studio come punto di partenza di una realtà allarmante riguardante l’evoluzione della fertilità maschile.

La ricerca (“Total motile sperm count trend over time across two continents: evaluation of semen analyses from 119,972 infertile men”), guidata dalla Dottoressa Ashley Tiegs, fellow di IVI, ha esaminato il numero totale di spermatozoi mobili (TMSC) – il parametro più importante per prevedere la probabilità di ottenere una gravidanza – di 119.972 uomini trattati nelle cliniche di IVI distribuite tra Spagna e New Jersey, tra il 2002 e il 2017. Come conclusione, questo studio mostra che la proporzione di uomini con rischio di richiedere un trattamento di fertilità è aumentata in maniera considerevole negli ultimi anni, passando da un 12,4% nel 2004 a un 21,3% nel 2017. Questo presume una crescita del 9% in poco più di dieci anni, un’evoluzione quanto meno eclatante.

A sua volta, nel corso dello studio la proporzione di uomini con TMSC normale è diminuita di un 9% (da un 87,6% a un 78,7%).

“Abbiamo una grande quantità d’informazioni relative a pazienti infertili, che ci ha consentito di dimostrare, migliorando anche i risultati di studi precedenti, che questo peggioramento della qualità del liquido seminale implica connotazioni cliniche che hanno un effetto evidente sulla fertilità maschile – spiega il Dottor Nicolás Garrido, direttore della Fondazione IVI e coautore dello studio -. Un fatto che obbliga a utilizzare trattamenti più complessi per soddisfare il desiderio riproduttivo dei nostri pazienti”.

Questo lavoro ha ricevuto il Premio Accademico della Società per la Riproduzione Maschile e Urologia, consegnato durante l’ultima edizione della Società Americana di Medicina Riproduttiva (ASRM), che si è tenuta a Denver lo scorso ottobre.

Nel corso della sua ricerca, la Dottoressa Tiegs ha diviso i dati ottenuti in tre gruppiuomini con TMSC maggiore di 15 milioni di spermatozoi, numeri che non richiederebbero un trattamento di fertilità; uomini con TMSC tra cinque e 15 milioni, che potrebbero aver bisogno di un trattamento di fertilità minore come l’inseminazione artificiale; e uomini con TMSC tra zero e cinque milioni, che potrebbero richiedere una fecondazione in vitro (FIVET), possibilmente con iniezione intracitoplasmatica di liquido seminale (ICSI), per ottenere una gravidanza.

“Si tratta del campione di studio più grande ottenuto fino ad oggi, cosa che attribuisce a questo lavoro un grande peso scientifico. Unito ai risultati rivoluzionari ai quali porta, tutto questo apre un grande divario di ricerca, dimostrando con dati oggettivi una evidenza che abbiamo osservato da molto tempo e che nessuno era stato in grado di confermare fino ad oggi. Dopo questi risultati, è necessario analizzare più in dettaglio le cause di questo fatto e le misure da prendere. Siamo convinti che tutti i progressi in questa direzione ci aiuteranno a chiarire alcuni dei problemi che più riguardano i fattori che influenzano l’infertilità maschile”, aggiunge la Dottoressa Daniela Galliano, Direttrice del Centro IVI di Roma.

Con questi risultati, che indicano come gli uomini presentino ogni volta un rischio maggiore di aver bisogno di trattamenti riproduttivi per essere genitori, sembra obbligatorio chiedersi: perché?

“Esistono numerose ricerche sugli effetti avversi dello stile di vita tossico e sull’esposizione costante alle influenze ambientali negative sulla qualità degli spermatozoi – conclude la Dottoressa Galliano – ma non è ancora noto con esattezza in quale modo questi fattori risultino dannosi. E’ comunque obbligatorio uno studio continuo e più preciso di questi fattori che possono influire negativamente sulla qualità del liquido seminale”.

Di IN DIES

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